Quando ho realizzato di aver vinto la Coppa di gigante è stato come se tutta la vita mi fosse passata davanti agli occhi in un minuto.
Corsi e ricorsi storici, in un gioco di date e di luoghi che ritornano e che legano la mia stagione più bella in assoluto a quelle dei miei inizi, quelle che mi hanno realmente fatto capire che potevo appartenere a questo mondo di eccellenza assoluta.
Lungo tutto l’inverno, è stato come mentire a me stessa, o almeno come omettere alcuni pezzetti della verità.
Quando stai facendo qualcosa di grande è un attimo che qualcuno ti dia un colpetto sulla spalla, ti svegli e te la porti via da sotto il naso, e allora io ho voluto proteggere il mio viaggio, fingendo di non capirne del tutto il reale valore.
Ho sciato libera, cercando di isolarmi da tutto ciò che non era strettamente “neve e paletti”, convinta che nello sport le somme si tirano solo alla fine.
Sempre.
Un po’ per scaramanzia, e un po’ perché nello sci può succedere di tutto, fino all’ultimo cancelletto.
Jasnà, Lenzerheide e Livigno i luoghi del mio terno al lotto stagionale.
Jasnà è un posto speciale per me, perché lì, nel 2014, ho vinto l’oro di gigante ai Mondiali Junior e sempre lì, quest’anno, ho avuto la matematica certezza di aver portato a casa la mia prima sfera di cristallo.
Persino alla vigilia di quella gara, quando ormai la stagione era agli sgoccioli e tutte vivevano calcolatrice alla mano, non ho guardato la classifica, perché non volevo che nulla si infilasse tra la mia voglia di vincere e la concentrazione che serviva per farlo davvero.
Quando ho passato il traguardo e mi hanno detto che era fatta, che nessuna avrebbe più potuto togliermi il titolo, mi sono lasciata andare.
A fasi alterne, piangevo e poi mi venivano i dubbi che tutto fosse reale e che chi aveva fatto i conti avesse sbagliato qualcosa.
In quell’istante, che dura un momento solo e che allo stesso tempo dura quanto una stagione intera, mi sono trovata a rivivere tutto quello che mi ha condotto fin lassù.
Ad essere sincera, non saprei neppure dire se i primi ricordi che ho sono proprio miei-miei o se sono il risultato dei racconti dei miei genitori, delle loro storie e dei filmati dell’epoca, che ogni tanto riguardiamo a casa.
Ho iniziato a sciare prestissimo e per me tutto è venuto con estrema naturalezza.
Papà ci portava sulla neve, con la leggerezza di chi lo fa soltanto per amore, senza
che nulla fosse mai pensato per fare di me il progetto di una grande sciatrice.
Le gare sono sempre state soltanto gare.
Divertimento e sfida, senza effetti collaterali.
Momenti di confronto con gli altri bambini, nei quali vincere o perdere non cambia granché.
Vincere è vincere.
Ed è bello.
Non ci sono dubbi su questo.
Ma non è mai stato il risultato a definire il valore di quello che facevo, neppure
quando da piccolissima finivo sempre davanti a tutte le altre.
Lo sport mi ha insegnato prima di tutto a perdere, che è molto più difficile da imparare, perché ti mette di fronte agli errori e alle cadute, o più semplicemente a chi ha saputo sciare meglio di te.
Saper perdere è una consapevolezza che mi porto dietro ancora oggi, nel circuito dei grandi, e che mi da la spensieratezza di gareggiare leggera, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche di testa.
Ho passato tutta l’infanzia a giocare con i miei fratelli, soprattutto con il maggiore, visto che siamo molto più vicini d’età rispetto a Marco, che ne ha 5 meno di me e 7 meno di Matteo.
Spendevamo le nostre giornate sugli sci, oppure a giocare nella baita di famiglia, sempre spalla a spalla, due pesti alla ricerca della prossima avventura.
Il nostro era uno sci club piccolo, in cui non si facevano “paletti” tutti i giorni, e dove il divertimento veniva prima di tutto il resto.
Per questo, anche quando papà ha smesso di essere il mio allenatore e sono entrata nell’orbita dei comitati regionali, tutto ha mantenuto la stessa semplicità.
Uscendo dai confini di casa mi sono addentrata in un mondo completamente nuovo, nel quale muovevo i miei passetti da sola, ma dove non ho mai perso lo spirito dell’infanzia.
Crescendo, non ho mai avuto dubbi su quello che avrei voluto fare.
Certo, capita a tutti la giornata storta, o il risveglio con così tanti dolorini addosso da farti venire il dubbio che forse non sia meglio restare a letto.
Ma nulla di invadente, nulla che valesse più di un pensiero.
Fino al penultimo gradino, potrei dire che il mio è stato un percorso molto lineare, quasi facile, anche quando ho incontrato la grandezza della Coppa del Mondo, la prima tappa a farmi davvero capire l’importanza di quello che stavo facendo.
L’esordio l’ho fatto proprio sulle nevi di Lenzerheide, in Svizzera, sulla stessa pista in cui quest’anno si sono disputate le finali e mi hanno consegnato la mia Coppa, in un cerchio perfetto, al quale si aggiungono anche gli Assoluti di Livigno.
Sette anni fa vincevo i primi Campionati Italiani della mia vita, sempre in Valtellina, poco dopo aver vinto l’oro Junior di Jasnà e aver fatto l’esordio in Coppa. Il sapore degli Assoluti di allora e di quelli di adesso è molto diverso, perché io sono cresciuta
e cambiata tanto, eppure nella gioia di arrivare davanti a tutte c’è sempre qualcosa di unico, a prescindere da tutto.
Sono arrivata a Livigno con la Coppa ancora ben sigillata in valigia, dopo la Slovacchia e dopo la Svizzera, ed ecco che tutto ritorna, come in un libro ben scritto, in cui l’autore collega con classe il primo e l’ultimo capitolo.
Jasnà, Lenzerheide e Livigno, oggi come sette anni fa.
Nella vita che mi è passata davanti agli occhi quando ho ricevuto la Coppa, ho rivisto anche le emozioni dell’anno scorso e il definitivo salto di qualità che mi ha permesso, oggi, di festeggiare un traguardo enorme.
I miei primissimi podi in Coppa del Mondo sono datati 2016, quando ho firmato tre terzi posti.
Ma la differenza che c’è tra il bronzo e l’oro è molto più marcata di quella che c’è tra il bronzo e una top ten, perché l’ultimo passetto è sempre quello che ti chiede il sacrificio maggiore.
Puoi volare in allenamento, avere i materiali perfetti, conoscere la pista, avere le sensazioni giuste, ma poi arriva la gara, e la gara è come una realtà parallela, in cui le regole non valgono più.
Ovviamente, in quanto atleta, ti costruisci durante gli allenamenti, ma riuscire a tradurre in pista tutto quello che senti di avere dentro è tutt’altro che scontato.
Lo sci è pieno di campioni in provetta, di talenti cristallini che poi si infrangono sull’emozione, o che si spaventano davanti al cancelletto che conta davvero.
È come il blocco dello scrittore, che pur avendo già dimostrato di saper scrivere, e anche bene, si blocca di fronte al foglio bianco.
La Coppa di quest’anno, io, ho iniziato a costruirla nella stagione scorsa, quando a Killington, dopo tanti tentativi, sono riuscita a vincere la mia prima gara in assoluto.
È stato come fare uno step mentale, come premere il pulsante di sblocco.
Finalmente ne ho le prove: lo so fare.
Hanno visto tutti che lo so fare.
E se l’ho fatto una volta allora vuol dire che lo posso fare sempre, significa che dentro di me c’è tutto quello che serve per rifarlo ancora, e ancora.
Il sapore della vittoria da una gratificazione immediata e quando senti il brivido del gradino più alto, di colpo, non riesci più ad accettare niente di meno.
Vincere questa Coppa mi ha come riportata indietro nel tempo, non solo con la memoria, ma anche per le sensazioni che provo in pista, perché mi sento come quando ero bambina e nel giorno della gara, spogliata della paura di perdere, riuscivo sempre a dare quel qualcosa in più.
Vincere aiuta a vincere e tutta la mia semina è maturata quest’anno.
Nel corso della stagione, gara dopo gara, la mia mente ha iniziato a mettere in prospettiva tutto quello che ho fatto in passato, facendolo quasi rimpicciolire di fronte alla grandezza del presente.
È stato come ritrovarsi in cima ad un altissimo grattacielo e guardare in basso, verso i mattoni che stanno alla base della costruzione. Più vai in alto e più il passato sembra piccolo, ma allo stesso tempo più cresce il tuo palazzo e più ti servono fondamenta forti. La mia carriera è solo agli inizi, e spero di continuare ad aggiungere piani su piani, per andare sempre più in alto. Magari con la ciliegina sulla torta delle Olimpiadi del 2026, quelle di casa, che anche se sembrano lontane nel tempo è
impossibile non iniziare a chiedersi come saranno.
Quali le emozioni, quali gli obiettivi, soprattutto vivendo i luoghi che le ospiteranno.
Ho rivisto tutto questo, passato e futuro, nello spazio di un minuto, prima che la festa per la vittoria mi travolgesse e mi riportasse sulla pista, mente e corpo, insieme alle mie compagne e a tutte le persone che hanno contribuito al raggiungimento di questo risultato.
E mi ha fatto capire che il vero valore di questa Coppa si nasconde nelle pieghe della mia storia, nel percorso che mi ha condotto fin qui, e che fa della sfera di cristallo solo una bellissima conseguenza.
Per questo, dopo le vacanze, e dopo averla fatta vedere a tutte le persone che mi vogliono bene, la metterò nell’unico posto in cui ha senso tenerla: nel passato.
Così potrò ripresentarmi al via della stagione prossima con la leggerezza che da sempre è parte di me.
MARTA BASSINO / CONTRIBUTOR