Io ho bisogno di avere felicità, nella mia vita.
Merito di averla, come chiunque altro.
Atleta o non atleta.
Adulto, non adulto, o qualcosa a metà tra i due.
Livigno Blog
Io ho bisogno di avere felicità, nella mia vita.
Merito di averla, come chiunque altro.
Atleta o non atleta.
Adulto, non adulto, o qualcosa a metà tra i due.
Animali e benzina.
Erba da tagliare e gomme da gonfiare.
Tergicristalli e formaggio.
Fatica e di nuovo fatica.
Ai bambini d’Italia piace giocare a calcio.
È lo sport nazionale.
È un pezzo di cultura.
È il primo strumento che abbiamo per imparare a socializzare con gli altri.
Due zaini a far da porta, un super tele dalle traiettorie imprevedibili (o al massimo un tango, che è più pesante e vola di meno), una manciata di amici e il gioco è fatto.
Vale quasi per tutti, ma è proprio nelle pieghe di quel “quasi” che ha origine la mia storia, la mia carriera e la mia vita.
Sono cresciuto a San Rocco di Marano, un piccolo avamposto contadino della Valpolicella, nascosto tra le colline del Veneto, lontano dal mare e lontano dalle montagne, pur senza esagerare, che nel nostro Paese nulla è lontano per davvero.
Cinquecento metri di altitudine, metro più, metro meno; un’ottantina scarsa di nuclei familiari in totale e poco più di 200 anime, per una comunità raccolta, intima, in cui i cognomi non servono davvero mai.
Ecco, allora, che per giocare a calcio, molto più spesso che non, mancavano proprio i numeri, mancavano le persone per fare due squadre. Bisognava, quindi, trovare un modo diverso di occupare il tempo libero, e per me e per i miei amici è stata fin da subito la bicicletta.
Un po’ necessità e un po’ magia.
Un po’ mezzo di trasporto e un po’ modo d’essere: le due ruote sono sempre state il mio posto preferito in assoluto, dove diventavo padrone della strada e padrone del mio tempo, libero com’ero di andare dove mi servisse di andare, da solo e per gli affari miei.
Per un bambino attivo spingere sui quei pedali, macinare chilometri e chilometri nelle viuzze di quel borgo antico che avevo la fortuna di chiamare casa, era la forma più efficace di svago: un antistress sempre a portata di mano, che calmava le mie ansie e che prosciugava le mie riserve di energia.
Mia mamma diceva che quando era l’ora di andare in bici mi dimenticavo di tutto il resto, e non mi importava più neppure di mangiare.
Frazione numero uno.
Loro, gli altri, ne hanno già fatti 400, poi 500, poi mille.
Resto fermo sulla riva del lago, con gli occhi persi nei riflessi rossi delle boe, legate agli atleti affinché le barche di soccorso possano trovarli in caso di necessità.
Quando passeggio nella sera di Livigno, evitando le vie del centro, mi bastano pochi passi nella direzione giusta per ritrovarmi completamente solo, nella pace più totale.
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