99% - MAURIZIO BORMOLINI

99% - MAURIZIO BORMOLINI

27/03/2024

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La neve di Livigno è tutta un’altra storia.

È un condensato della sua essenza, e del suo spirito. È unica.

Particolare.

Se fossi un turista verrei su soltanto per sciarci e per divertirmi, perché in giro non ne trovi di altre nevi così.

Differente che altrove, differente che ovunque: la neve di Livigno è secca, senza umidità, perfetta per i creativi, per gli avventurosi.

Non è velocissima, ma è tra quelle con il miglior grip al mondo: ti attacca al terreno, ti dà presa, ti permette di aggredirla.

È la compagna di viaggio ideale per chi vuole tirare linee perfette, sentendo sotto ai piedi un totale controllo del mezzo.

È divertente, come nessun’altra che abbia mai provato. Ed in più, ovviamente, è mia.

 

Su quella neve, io ho giocato fin da quando ero bambino, fin da quando con fratello Lorenzo ne combinavamo di tutti i colori nel garage di casa, sperando di riuscire a farla franca. 

C’erano anche Andrea e Elisabetta, ma il rapporto che univa noi due era unico.

Più forte.

Siamo stati dei gran casinisti, quasi dei teppistelli, ma se mi dessero la possibilità di farlo, tornerei indietro al volo. Per ricominciare tutto da capo ancora e ancora.

Marachelle comprese.

Andrea, nostro fratello maggiore, era un gran appassionato di motori, e in una piccola rimessa dietro casa, teneva sotto chiave la sua preziosa moto da trial.

Era una specie di oggetto sacro, che non eravamo autorizzati a toccare, il vero lasciapassare per il mondo degli adulti, e il giorno in cui io e Lorenzo siamo riusciti a trafugare le chiavi del lucchetto è stato come aprire la porta su un universo parallelo.

Io ero in terza elementare, mio fratello in prima, e trovato il modo di accendere la moto ci siamo messi a scarrettarla nel grande prato che c’è dietro la casa dei nostri genitori.

Penso che le grida della mamma abbiano fatto tremare la valle intera.

Un po’ come quelle del papà, quando abbiamo frantumato una damigiana da 50 litri del suo vino preferito, facendo i trick con lo skateboard.

Ecco, io dell’infanzia ricordo questo. Ricordo la leggerezza e il divertimento.

Ricordo i giochi all’aria aperta e lo sport. Il calcio, la bici e la neve, la nostra neve.

 

Papà è sempre stato fissato con lo sci, e per questo motivo ho iniziato con quello. Poi ho scoperto la tavola, e non ho più voluto saperne.

Non c’è una motivazione diversa, dal semplice “averlo voluto”. E non mi è mai neppure servita, una motivazione diversa.

Lo snowboard è sempre stata una cosa mia, e mia soltanto. Ero il primo in famiglia. C’è tutto il peso della volontà, in questo: mi è piaciuto fin da subito, non so bene il perché, e il fatto che fosse una mia decisione, una mia scelta, lo rendeva automaticamente insostituibile.

Parte della mia identità, non ci avrei rinunciato per nulla al Mondo.

“Voglio fare questo”, nel momento esatto in cui l’ho detto a voce alta, era vero. E non mi serviva un perché.

A volte la vita è facile. Innamorarsi è facile.

E l’amore che non ha bisogno di alcuna spiegazione è anche quello che dura di più.

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In fondo a Livigno, poco prima del passo della Forcola, c’era (e ancora c’è) l’impianto di risalita Palipert, una struttura piccolina, un po’ fuori dal centro del paese e lontana dalle piste principali.

All’epoca ti permettevano di utilizzare il loro materiale tecnico da snowboard senza pagare il noleggio, e così, in brevissimo tempo, diventai un fedelissimo frequentatore dei loro pendii.

Li consumavo, a furia di scendere e salire: era la cosa più bella che mi fosse mai capitata.

Iniziai ad allenarmi con lo snowboard club, di cui facevano parte atleti che partecipavano alle gare FIS e a qualche tappa di Coppa Europa, ma non ricevetti il mio primo pettorale fino ai 12 anni.

Cosa che accadde a Funes, in Trentino. E fu la mia prima vittoria.

 

Crescendo in montagna, però, l’età delle scelte arriva prima che altrove, e quando ho finito le scuole medie mi sono trovato di fronte ad un bivio, come quasi tutti quelli della mia generazione.

Andare a studiare a Bormio, e fare il pendolare con Livigno e con la mia neve, oppure piantarla lì con lo sport, che tanto a quell’età, nessuno ti dà la certezza di valere davvero qualcosa. C’era la possibilità di andare alla scuola di Malles, ma era in lingua tedesca e non mi convinceva granché.

Ero quasi sul punto di mollare.

Poi, quando ormai mi ero messo il cuore in pace, è intervenuto, come un santo, il professor Silvestri, altra figura mitologica della mia infanzia.

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Il professor Silvestri è una di quelle perso

ne che, da piccolo, dai un po’ per scontato, ma che quando cresci ti ritorna in mente ogni cinque minuti, perché cominci a capirne davvero il valore.

Era l’insegnante di educazione fisica delle scuole medie, ed era capace di farti appassionare a qualsiasi cosa. Ci faceva fare di tutto, dall’atletica al basket, dall’acrobatica allo sci, ma sempre con serietà, con cura della tecnica.

Con la volontà di lasciare davvero qualcosa. Amavo le sue lezioni.

Così, quando ha scoperto che avevo qualche dubbio sul da farsi e che stavo valutando di smettere, mi ha aiutato a trovare una scuola dove sport e studio erano abbinati, a Falcade, salvando così la mia carriera.

E gran parte della mia felicità.

È lì che sono diventato un atleta per davvero, ed è grazie a quegli anni che sono arrivato fino alle porte della Coppa del Mondo.

Il mio esordio in Coppa del Mondo è stato un’esplosione di gioia.

La tempesta perfetta, dove tutto si è allineato come per magia, anche se poi, dietro la magia c’erano tantissimo lavoro e tantissima fatica.

L’anno precedente avevo vinto la Coppa Europa, e mi sentivo in uno stato mentale di equilibrio assoluto, che soltanto adesso che sono più maturo, capisco non essere la normalità. Sarebbe troppo facile.

Fisicamente ero al top, in allenamento volavo, forte della gioventù.

E avevo sia la consapevolezza di poter andar forte anche in gara, che la leggerezza di sapere che nessuno si aspettava davvero niente da me. Il mix ideale per partire, soprattutto in uno sport dove vince chi non sbaglia, ma in cui devi comunque andar giù a manetta.

È lo sport del 99%, perché devi sempre lasciarti un minimo di margine per non commettere errori.

Quell’inizio lì mi aveva fatto credere che il podio e i successi fossero davvero a portata di mano.

Maurizio-Bormolini

Non è andata così.

Ho scoperto che lo sport è delicato, e le cose possono trovare modi creativi per andare storte. Ci sono gli infortuni, ci sono i momenti no. E io, nel corso delle stagioni, non mi sono fatto mancare proprio nulla.

È un gioco di responsabilità, tra il fisico e lo spirito, che a volte si esprime per vie misteriose. Una volta, per esempio, dopo i Mondiali di Sierra Nevada, mi rubarono lo zaino. E dentro quello zaino avevo l’ultimo paio dei miei scarponi preferiti, che non erano più in produzione. Ero disperato.

Dovetti passare ad un prodotto nuovo, fatto con lo stesso stampo, ma con un materiale diverso. Ero ancora giovane, inesperto, e la mia mente si focalizzò su quel dettaglio. Su quella piccola scomodità. Non riuscivo a pensare ad altro.

In allenamento riuscivo ad ignorarla, ma in gara invece no, e all’improvviso perdevo il feeling con la tavola.

Passai mesi alla ricerca della sensazione perduta, inseguendo qualcosa che pensavo di aver lasciato per sempre dentro un borsone rubato. Ero esausto, preoccupato, forse soltanto desideroso di smettere. Rimasi aggrappato con le unghie ai ricordi più vecchi e all’amore per la tavola che avevo da piccolo.

Oggi lo so che il problema non era lo scarpone. So che lo scarpone andava bene.

Oggi so che quella era l’espressione di un disagio mio, più profondo, di un equilibrio da trovare, e che non mi apparteneva più. Come quando non stai più tanto bene con una persona e anche le cose più piccole iniziano a darti sui nervi. Il suono della risata, il disordine in casa, i gusti televisivi.

Il mio amore per lo snow è stato messo a dura prova, tante volte, ed è soltanto attaccandomi alla memoria degli inizi che siamo rimasti insieme.

All’averlo voluto. Al sentirlo mio.

Tra un crociato e un piede rotto, ho ricordato a me stesso che questo è quel che ho scelto per me, e che niente e nessuno, da bambino, sarebbe mai riuscito a farmi rinunciare.

Ho cambiato tante cose, dai materiali all’allenamento, ma sopratutto ho cambiato me stesso, per provare a regalarmi un istante di felicità assoluta, sulla neve di casa.

Lo sappiamo tutti che a Livigno arriveranno le Olimpiadi.

Sappiamo che saranno proprio dietro al garage, sul prato dove scarrettavo la moto da trial di mio fratello. Sappiamo che ci sarà la nostra gente, il nostro pubblico, la nostra neve unica al mondo. E vorrei tanto esserci anche io, con un pettorale e non sugli spalti, per dare a quel bambino che tutti i pomeriggi scappava al Palipert, un ultimo momento da vivere. Un motivo ancora perché valga la pena sognare.

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