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Riflessi di Marianna Longa

La miglior versione di sé appare sempre riflessa negli altri, nelle loro qualità e nelle loro idee. Mondi paralleli, cambiati dal tempo, e resi differenti dalla vita, che prima o poi si sfiorano, e disegnano parabole comuni.
Almeno per un po’.

La prima volta in cui sono stati “gli altri” a tirar fuori la passione, la grinta e l’agonismo che sono in me, ero soltanto una bambina.
Nel freddo dell’inverno livignasco, il mio papà aveva deciso di farmi provare lo sci di fondo. A me che ero una discesista, e che mi sentivo una discesista. A quei tempi non c’era l’ampia scelta che c’è oggi e fare sport, in inverno, significava sciare oppure pattinare, nient’altro. Il corso a cui sono stata iscritta era di quelli organizzati dalla scuola, e se fosse stato per me, una lezione sarebbe già bastata e avanzata.
È stata devastante. Non solo era faticoso in senso assoluto ma, per me, era anche più faticoso degli altri, che sembravano scivolare leggeri sulla punta della neve.
Ultima, in fondo, staccata da tutti: sono tornata a casa ben convinta a non rifarlo mai più.

Ma i miei genitori avevano già pagato tutto il pacchetto di lezioni e quindi, quegli sci strani, stretti e con il tallone staccato, io, avrei dovuto metterli di nuovo. E così, è stato il gruppo a trascinarmi, risvegliando qualcosa che era già mio, anche se ancora non lo sapevo. Non volevo essere lontana dai migliori, arrancante nelle retrovie.
Volevo arrivare, raggiungere i primi.
E sciare con loro.

Giorno dopo giorno, mi hanno fatto innamorare dello sci di fondo, facendomi vedere che anche dentro la fatica il gioco esiste, esiste eccome. Creavamo percorsi, sfide, ci lanciavamo la palla, il tutto con gli sci saldi ai piedi, che sono diventati un prolungamento del mio corpo.

La seconda volta in cui mi sono specchiata dentro qualcuno, per scoprire qualcosa di me, è stato giusto qualche anno più tardi, quando mi sono dovuta trasferire per frequentare le superiori. A chi non conosce la montagna potrebbe anche sembrare strano, ma spesso a queste latitudini, tra tornanti e passi da scalare, le distanze vanno moltiplicate per due.
Quando sono arrivata in collegio, anche se in linea d’aria non ero poi tanto lontana da casa, tutto era distante, a partire dalla mia squadra di sci.
I ragazzi e le ragazze che mi avevano contagiato con la passione per il fondo, non c’erano più, e ho dovuto ricominciare tutto da capo. Ho pensato di smettere, come mi sarebbe capitato altre volte in carriera, ma per fortuna non l’ho fatto, come tutte le altre volte in carriera, a parte l’ultima.
A guidare la nuova squadra c’era un allenatore burbero e severo, di cui all’inizio non vedevo altro che gli spigoli. Ero un’adolescente timida, sempre sulle sue, che soltanto nell’agonismo riusciva ad esprimere compiutamente il proprio carattere.
E quella figura autoritaria mi incuteva timore.
Poi, ho iniziato a vedere riflesso in lui il mio stesso fuoco e la mia stessa voglia di arrivare. Ogni allenamento lo capivo un po’ di più, e altrettanto faceva lui, finché non abbiamo riconosciuto di avere lo stesso pensiero e siamo diventati inseparabili. È stata la mia pulce nell’orecchio, il mio mentore e la mia guida dai 14 anni fino a quando ho smesso di sciare, e ogni qual volta ho avuto un dubbio o una difficoltà, quattro passi insieme hanno sempre risolto tutto.

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Qualcosa di bello | di Elia Viviani

All’arrivo delle cose importanti, quelle che ti cambiano la vita, in fin dei conti, ci vuoi credere sempre, anche quando, dentro di te, una voce ripete: “non troppo, mi raccomando”.

Vuoi che siano scenari possibili, ma devi stare comunque attento a non illuderti. Perché la delusione di averci creduto e poi di non esserci riuscito rischierebbe di lasciarti svuotato dentro, che non è mai una cosa buona.

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Dinosauri sulla montagna | di Marco De Gasperi

Quanto pesa un carezza.

Quanto pesa un bacio.

Quanto pesa un “bravo”.

La montagna è fatta di racconti e dell’eco dei suoi venti, che nessun quadro e nessun film potranno mai riassumere in qualcosa che entra in una tasca dei blue jeans.

Le valli, i funghi e le rocce.

Le scarpe nuove messe ai piedi, quelle da corsa, che mio padre mi regalò e mi allacciò per la prima ed ultima volta, in modo che potessi seguirlo sul sentiero, in mezzo ai boschi di aghifoglie.

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La legge di Murphy | di Letizia Paternoster

Io sono prima la ragazza, la donna che ama andare in bicicletta, che vuole raggiungere i suoi sogni.
Perché i miei sogni sono prettamente a livello sportivo in questo momento.
Sono grandissimi.
E io davvero potrei rinunciare a qualunque cosa pur di arrivare al mio sogno.
Le persone sicuramente non lo sanno, le persone non lo potranno mai capire, perché è una cosa che sento io.

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A casa nostra | di Antonio Rossi

So di aver rovinato tanti atleti, forse più di quanti ne sono riuscito ad ispirare.
Sono sempre stato convinto di non avere un gran talento fisico, e per questo pensavo che l’unico modo che avessi per emergere fosse quello di lavorare più degli altri.
Almeno il 15% in più.
Non era un modo di dire, non una forma mentis, era proprio un calcolo matematico.
Dal 15% in su.

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